Il 30 gennaio 1987 la situazione precipitava. Le autorità militari radunavano tutto il personale dell'ospedale e della missione per comunicare loro che da quel momento non avrebbero più potuto uscire dalla linea di difesa, posta a pochissimi metri dalle case della missione. L'accusa era di complicità con i guerriglieri e di atteggiamenti autoritari. Si trattava di un primo passo per la successiva comunicazione di evacuazione da Kalongo.
Una settimana dopo, il 7 febbraio, il comandante di brigata radunava in cortile tutto il personale europeo. Significava prepararsi ad evacuare una grande missione e un ospedale di 350 letti, completamente attrezzato, e anche le case per i dottori, per le infermiere, la scuola infermiere, magazzini ecc.
Quella stessa notte iniziavano i preparativi e lunedì 9 partivano i primi quattro camion con un padre, due suore e il dott. Tacconi con la sua famiglia. Dopo cinque ore, dovevano rientrare perché i ribelli si erano appostati a 32 km a sud di Kalongo, decisi a non lasciare passare il convoglio.
Il venerdì 13 febbraio, alle quattro del mattino, arrivavano 16 camion che dovevano essere caricati con tutto ciò che era stato preparato.
“Abbiamo lavorato ininterrottamente fino alle 3 pomeridiane in mezzo ad una confusione indescrivibile, tra lacrime e la profonda tristezza nel vedere il preludio di quella che poteva essere la distruzione di Kalongo. Coraggio, questo è il momento in cui si deve vedere perché siamo venuti qui" - Padre Ambrosoli
Terminavano così 30 anni spesi a Kalongo, senza risparmiarsi.
All'arrivo a Lira, altre difficoltà si sarebbero presentate a Padre Ambrosoli: rimaneva il grave problema della sistemazione delle alunne della Scuola delle Ostetriche, garantendo loro il regolare svolgimento dei corsi. Egli stesso ammetteva di non star bene, ma prima chiedeva di poter dare una sistemazione alle alunne e alle suore loro responsabili. Iniziava così i contatti e i relativi viaggi per poter dare a tutti una conveniente sistemazione.
Giunto a Kampala, otteneva dalle autorità mediche (Ministry of Health) il permesso di trasferire la scuola in West Nile. La scuola era salva.
Padre Ambrosoli ritornava a Kampala. Qui la situazione politico-militare stava peggiorando.
Il 22 marzo, domenica, celebrava la messa nella cappella del Collegio Comboni di Lira, ma il pomeriggio doveva mettersi a letto con la febbre piuttosto alta. Le tre suore comboniane Romilde Spinato, Annamaria Gugolé e Silveria Pezzali, intervenivano con terapie che lui stesso indicava. Era rimasto senza alcun medico al suo fianco e forse era l'unico a rendersi conto della gravità della sua situazione.
Due giorni dopo, vedendo che stentava a riprendersi, si consultavano a distanza il dottor Corti dell'ospedale di Gulu e il dott. Tacconi che si era trasferito a Hoima.
Nel frattempo, ci si attivava per ottenere un elicottero così da trasportarlo a Gulu, dove il dott. Corti preparava la dialisi. La notte però di quel 26 marzo la situazione sembrò precipitare. Le sorelle cercavano di far fronte alla nuova crisi mentre padre Ambrosoli con un cenno richiamava l'attenzione di p. Marchetti che passeggiava nel corridoio. Desiderava confessarsi.
Il piano era di portarlo a Gulu e poi trasferirlo in Italia. Lui supplicava: “Non dovete farlo, sarà troppo tardi, perché ho le ore contate. Sapevate che ho sempre desiderano rimanere con la mia gente, perché ora mi mandate via?” Comunque, poi ringraziò e disse: “Sia fatta la volontà di Dio”. Collaborò in tutto per prepararsi a partire.
Alle 9,15 tutti i confratelli e le consorelle si radunavano attorno a lui per la cerimonia dell'Unzione. Toccò a p. Marchetti cogliere le sue ultime parole: “Signore, si faccia la tua volontà”. Il referto medico avrebbe indicato la causa del decesso: insufficienza renale e cardiaca.
Quando l'elicottero proveniente da Entebbe arrivava con padre Egidio Tocalli, il corpo di Padre Giuseppe Ambrosoli era già composto sul lettino in una straordinaria serenità.
“Per noi la morte del dottor Ambrosoli è come il crollo di un ponte. Ci vorranno molti anni per rimpiazzarlo” - Gen. Tito Okello Lotwa, presidente per breve tempo dell'Uganda.
Padre Ambrosoli desiderava essere sepolto secondo il costume africano, avvolto in una semplice stuoia. Per questo era stata preparata una bara semplicissima nella quale deporre il corpo. Nella tarda mattinata del 28 veniva trasportata nella vasta chiesa parrocchiale di Ngeta-Lira.
Così si realizzava il desiderio di Padre Ambrosoli espresso nelle battute finali della sua intensa giornata terrena: “Seppellitemi tra la gente che ho amato e per cui ho dato la vita” si era realizzato, anche se a metà. Solo sette anni dopo, infatti, la riesumazione e la traslazione delle spoglie a Kalongo sarebbero state l'atto conclusivo. Così si realizzava il desiderio di padre Giuseppe.
“L'ambulanza che trasportava le spoglie di p. Ambrosoli procedeva con i fari e i lampeggianti accesi, seguita dal corteo di macchine e dal camion. Alla rotonda di Kalongo tutti erano ad attenderli: gli alunni delle scuole in divisa, le infermiere, i catecumeni e la gente del villaggio. Non ci sono parole per esprimere l'emozione che abbiamo provato nel vedere la cassa di legno chiaro che veniva estratta dall'ambulanza. Una donna staccatasi dal gruppo si è fatta avanti a rendergli omaggio danzando la loro danza funebre. Finalmente Giuseppe era tra noi! La salma è stata poi trasportata a spalle dal paese fino in chiesa, accompagnata da un corteo lunghissimo e variopinto di divise e di colori, e dall'ondeggiare di rami di alweto (il ramo del benvenuto), dal dolce ritmo della musica sulle bellissime parole di un canto cadenzato: «Giuseppe, dono di Dio, hai dato la tua vita per noi". – Padre Donini