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1944 Padre Giuseppe giovane militare assieme ai suoi commilitoni
Padre Giuseppe con i Cenacolini con Don Silvio Riva a Galliano Eupilio 11.1946
Padre Giuseppe con gli amici in montagna

1940–1947

Il 1940 segna l’entrata in guerra dell’Italia, Giuseppe aveva allora 19 anni, esonerato dal servizio militare, era stato “lasciato in congedo illimitato provvisorio”, con l’obbligo di frequentare i corsi allievi ufficiali. In quello stesso anno si era iscritto a Medicina all’Università Statale di Milano.

Si divideva tra Milano e Ronago, ma non si limitava agli studi. Si prodigava ad aiutare molte persone ostili al regime, soprattutto ebrei perseguitati, facendoli raggiungere la Svizzera. Centinaia di persone espatriavano in Svizzera, riversandosi su Chiasso: soldati ufficiali allo sbando, perseguitati razziali e prigionieri evasi dai campi di concentramento. Anche Giuseppe prendeva la via della Svizzera.

Ogni giorno che passava vedeva svanire la speranza di una normalizzazione della scena politica italiana e allo stesso tempo era cosciente che il suo sottrarsi alla chiamata alle armi metteva in pericolo l’incolumità dei genitori. Nel momento dello sconforto, sentiva che solo la fede gli rimaneva come punto di riferimento.

Da Berna Giuseppe fece richiesta di rimpatrio; tardando la risposta cercò di rientrare immediatamente ma venne catturato. Il fratello Carlo intervenendo presso il comando tedesco, riuscì a liberarlo. Richiamato di nuovo l’8 marzo 1944, si arruolava per evitare difficoltà alla famiglia e fu inviato a Milano all’ospedale di Baggio, assegnato alla 3° Compagnia di Sanità.

Una parentesi difficile nella Baracca 114
Il 26 aprile partiva per la Germania per il campo di addestramento di Heuberg-Stetten nel Wurtemberg, assegnato alla 20° Compagnia di Sanità della Divisione Bersaglieri Italia della Repubblica Sociale. La vita al campo era dura.

Nella Baracca 114, aveva come camerati altri studenti di medicina, di cultura e tradizioni diverse. Giuseppe fin dall’inizio aveva manifestato un atteggiamento conciliante. Era rispettato e considerato, soprattutto quando si era venuti a conoscenza del suo progetto di laurearsi in Medicina, e specializzarsi in Malattie Tropicali e diventare sacerdote e missionario. Da allora era divenuto il confidente e il consolatore e per tutti anche l’amico fidato.

Io ho vissuto tutto quel triste periodo nella stessa baracca con Padre Ambrosoli … lo ricordo quando alla sera, stanchi e sempre affamati ci mettevamo sui castelli. Lui costantemente chiedeva ad ognuno di noi se avessimo bisogno di qualcosa: era sempre pronto ad ogni richiesta nonostante fosse stanco e affamato come noi. Lo ricordo durante una marcia di addestramento (15 km!) quando si carica, oltre al suo, anche il mio zaino per la mia incapacità a camminare per un dolore al ginocchio o quando ricoverato in infermeria per febbre alta incapace di muovermi mi ha portato due volte il rancio al giorno sempre con il sorriso sulle labbra. Insomma per farla breve, in quel periodo Ambrosoli era sempre a disposizione di tutti ed è sempre stato un esempio per tutti; era diverso da noi aveva una marcia in più morale e materiale che certamente gli veniva dalla sua permanente serenità” – Luciano Gozzi

La Laurea in Medicina e gli anni del Cenacolo
Finita la guerra, verso la metà del 1945 Giuseppe riprendeva gli studi universitari, iniziando una stagione straordinaria nelle file dell’A.C. di Como, a fianco di Don Silvio Riva che aveva cominciato a contattare molti giovani delle diverse diocesi di Como, invitando alcuni a far parte di un gruppo chiamato “Cenacolo”. Giuseppe Ambrosoli avrebbe trovato in Don Riva una guida autorevole e un progetto avvincente a cui partecipare.
Seguiva i corsi a Milano e al pomeriggio rientrava a Ronago perché qui si concentravano i suoi interessi, attività e amici. Naturalmente non si limitava solo a Ronago, ma percorreva tutta la zona: nel ricordo dei compagni sarebbe rimasta memorabile quella 500 Guzzi sempre in viaggio

Nel 1947 si laureava medicina e chirurgia all’Università degli Studi di Milano.

Subito dopo frequenta come volontario tirocinante il reparto di medicina dell’ospedale di Como.

Nell’assistenza agli ammalati e nell’esecuzione dei vari adempimenti era il più premuroso; sempre attento, senza farsi notare, a supplire alle omissioni degli altri, con l’atteggiamento di scusarsi, ringraziando chi gli aveva permesso di esercitarsi nelle varie mansioni diagnostiche e terapeutiche” – dottor Luciano Terruzzi, assistente all’ospedale di Como

 

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