Padre Ambrosoli riferiva di una situazione politicamente non tranquilla e finanziariamente simile a una parete di sesto grado. Kampala veniva occupata il 25 gennaio del 1986 e il 26 Yoweri Kaguta Museveni era eletto Presidente. In breve, occupò tutta l’Uganda. L'odio tribale cresceva nelle zone del Nord e neppure le missioni erano risparmiate. Clima di grande confusione e paura, anche a Kalongo tanto da far scrivere a Padre Ambrosoli che il 1986 era stato “il più difficile dei trent'anni a Kalongo”.
Dopo due mesi di completo isolamento, di paure per gli ammalati, per le giovani allieve e le ostetriche non acholi, di fughe notturne per trovare rifugio più sicuro nella savana e di molti interventi chirurgici sui soldati provenienti dal fronte di battaglia, il 29 marzo, il Sabato Santo, le truppe governative occupavano Kalongo.
Ora anche Kalongo era divenuta zona pericolosa. Il 30 agosto i soldati governativi si ritiravano da Kalongo e i ribelli si riprendevano la zona. Considerata ormai l'instabilità della situazione, si cercava di evacuare il personale medico europeo.
Il 21 ottobre i soldati regolari sconfiggevano di nuovo i ribelli e rioccupavano Kalongo con indescrivibili scene di panico: la gente del posto e gli stessi ammalati si davano alla fuga. Padre Ambrosoli dovette intervenire e mettere a repentaglio la sua vita per salvare dal linciaggio un soldato ferito e quattro donne del Sud. Il padre si era interposto tra le donne e i guerriglieri: «Prima di ucciderle dovete uccidere me». La moglie del dottor Rizzardini, che era arrivata con il marito un anno prima, ricorda la determinazione di Padre. Giuseppe.
Tuttavia, nonostante l'atteggiamento dei membri dell'ospedale fosse stato sempre rispettoso e accogliente verso tutti, i rapporti con i soldati governativi, nuovamente insediati, si erano irrimediabilmente guastati. La prima misura fu l'isolamento completo della missione di Kalongo.
Il 2 novembre i ribelli sferravano un attacco con artiglieria pesante per riconquistare Kalongo. A quel punto si poneva la necessità di evacuare il personale medico rimasto. Il 19 novembre le famiglie dei dottori Rizzardini e Marino, più una suora, potevano lasciare Kalongo. Da quel momento, come medici, rimanevano in ospedale solo Padre Ambrosoli e il Dott. Tacconi.
Quello che sorprende era serenità e la continuità nel suo impegno. Il dott. Tacconi consegna il più suggestivo ritratto dell'Ambrosoli del momento, uomo di pace, sulla breccia:
"Dopo la metà di novembre 1986, eravamo rimasti soli, lui ed io, come medici in ospedale, per circa due mesi. Mai come in quel periodo ho potuto vivere e gustare la sua vicinanza giornaliera! Molte volte voleva che riposassi di più di notte (eravamo veramente talora oberati dal lavoro) e senza farmi sapere niente mi sostituiva nelle chiamate notturne anche quando era il mio turno; ed io che sapevo che aveva un rene solo ... a volte lo sgridavo bonariamente e gli facevo capire che lui e non io doveva risposarsi di più! Sono stati momenti di vita «bellissimi» perché ci capivamo a vicenda e facevamo a gara a chi lavorava di più per rendere all'altro meno pesante il lavoro. I soli due medici e con circa 350 posti letto in ospedale, lo confesso ... c'era da tirare!
Attorno all'ospedale continuava la guerriglia, i soldati governativi presenti in missione non erano per niente "buoni" e continuavano a chiedere di tutto, mancava da mesi il collegamento con Kampala per il rifornimento in ospedale, parecchi del personale di tribù non acholi erano andati via (anche consigliati dal padre) perché c'era pericolo per la loro vita ... eppure l'ho sempre visto sereno, una serenità che rincuorava anche tutti noi. Come l 'ho visto pregare in quel periodo! Di solito dopo cena si fermava in chiesa una mezz' oretta, per poi andare in camera a lavorare, ma in quel periodo ci stava anche una o due ore! Questo senz'altro lo ha aiutato a sopportare e superare tutto ciò che doveva venire dopo".