Una pediatra in Uganda. Dialogare con lo sguardo: le giornate di Francesca

Questa settimana è stata tosta, sono stata lanciata senza paracadute di salvataggio nel Dr. Ambrosoli Memorial Hospital: in mezzo ai suoi mille colori, odori e rumori. L’azzurro sporco delle pareti e quello limpido del cielo, il nero della pelle e il bianco dei sorrisi, l’odore dell’olio con cui ungono i neonati e del sudore di chi ha aspettato, in coda per ore sotto il sole, il proprio turno. E poi parole, canti, risate, mai un pianto, se non quello dei bambini che, anche se il più delle volte sono coraggiosi come leoni, sanno farsi sentire quando necessario. Gli adulti invece qui non piangono, non si danno baci, non si scambiano gesti affettuosi: sono cose che in pubblico non si fanno. Non so mai come condividere con loro gioie e tristezze, e non sapendo parlare Acholi, la gestualità è una delle poche scelte che mi rimane, insieme allo sguardo. A volte ci sono le studentesse della scuola di ostetricia e le infermiere che mi aiutano traducendo per me, ma non è la stessa cosa. Va bene se chiedo:”Ha febbre? Ha male? Mangia?“ ma quando si tratta di trasmettere empatia: come fai a tradurla? Perciò guardo le mamme e i bambini negli occhi e spero di cuore che “qualcosa” arrivi loro. Di papà ce ne sono pochi. In pediatria e in maternità gli uomini arrivano solo quando c’è da prendere una decisione importante: le sorti di donne e bambini sono sempre nelle loro mani.

Andare in neonatologia da sola, da quei piccoli, teneri “microbi” è un po’ come ricevere uno schiaffo emotivo: nella sala medica della pediatria un cartello dice “A child can die only when he must die” ovvero “Un bambino può morire solo quando deve morire”.  La sfida è distinguere quelli che davvero devono morire da quelli che invece possono farcela se interveniamo subito e bene. Ho deciso che una delle lezioni che voglio portarmi a casa, e che mi sta costando mal di testa quotidiani, è proprio questa: non voglio imparare a curare la malaria, la tubercolosi o la drepanocitosi; voglio imparare a capire quando è bene mollare e quando no. Perché qui, soprattutto qui, se molli quando non devi e non molli quando devi, fai in entrambi i casi un danno enorme”.

Francesca Poma, specializzanda in pediatria, è stata in missione al Dr. Ambrosoli Memorial Hospital lo scorso autunno, per tre mesi

Fondazione Dr. Ambrosoli ha firmato una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università di Torino per l’invio regolare di giovani specializzandi a Kalongo, per svolgere attività clinica e di formazione del personale medico locale. Una partnership davvero importante per il progresso e la crescita dell’ospedale di Kalongo.

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